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martedì, Aprile 23, 2024
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Cercasi extravergine di qualità nella ristorazione. Clementine svendute o a terra. Ma assenti nei Bar. La Calabria non ha diritto di lamentarsi di nulla

14 NOV, CORIGLIANO-ROSSANO – Una regione che si conferma seconda
per produzione olivicola in Italia ma nella cui ristorazione locale, a tutti i livelli e nella stragrande
maggioranza dei casi, non vengono privilegiati i numerosi extravergine di qualità prodotti nei
territori, imbottigliati ed esportati altrove, non ha alcun diritto di lamentarsi di nulla; tanto più nel
mese principe dello straordinario olio novello che esce dai frantoi di tutte e cinque le province.
Una terra che in autunno diventa una distesa gialla e profumata per la quantità e qualità di
clementine nelle sue campagne, miseramente svendute per altri mercati più capaci o lasciate
marcire a terra ma del tutto latitanti nella ristorazione, nelle pizzerie, negli eventi, nei bar o
addirittura nelle mense scolastiche, non ha alcun diritto di protestare per ciò che non ha (o non
avrebbe).
Un popolo che da millenni produce vino e che da meno di mezzo secolo lo esporta pure nel resto
del mondo ma che, sempre in questa bella stagione produttiva e sempre nella stragrande maggior
parte dei casi, non è capace né di aprire e promuovere le porte delle proprie cantine agli enormi
flussi economici dell’enoturismo internazionale; ed un popolo che non sa o non vuole raccontare e
far rivivere la magia ancestrale della vinificazione nei propri asili ed ai giovani ai quali domani però
si teorizzerà che bisogna emigrare a prescindere, non ha alcuna credibilità nel suo ritornello stantio
di rivendicazioni di sviluppo mancato e retorico riscatto. Che del resto non commuove nessuno.
Una Calabria così, che sistematicamente rifiuta se stessa di cui si vergogna quotidianamente a
tavola, nei frigo di casa, nei supermercati, nella ristorazione e nei luoghi di formazione, non può
avanzare alcuna pretesa, manco di continuare a piangersi addosso, così come comunque fa ad
ogni stagione.
È quanto dichiara Lenin Montesanto, direttore di Otto Torri sullo Jonio, associazione europea che
da 25 anni fa della necessità di riappropriazione del patrimonio identitario e della sovranità
alimentare regionale una delle sfide economiche principali per il riequilibrio di tutti gli altri gap, che
ritorna sull’assurda e paradossale fotografia di una Calabria pubblica e commerciale che ignora e si
vergogna dei propri vini, dei propri extravergine e delle proprie clementine (idem per, arance,
castagne, etc).
Altro che pianti e rimpianti sul cosiddetto Piano Nazionale di Resilienza e Ripartenza (PNRR) e sul
presunto taglio di risorse comunitarie destinate al Sud! Che tuttavia non rattristano nessuno.
Il vero taglio auto-lesionista che i calabresi fanno a se stessi, mentre i frantoi sono a pieno regime
come in questo periodo, è quello che si realizza negli scaffali della piccola e grande distribuzione
nei quali latitano solo le bottiglie del nostro extravergine a vantaggio degli oli-truffa; e sulle tavole
delle nostre trattorie e dei nostri ristoranti nei quali ancora dominano oli di dubbia o incerta
qualità, presentati in bustine di plastica o sostituiti da dosatori illegali, privi del prescritto tappo
anti-rabbocco.
La vera decurtazione di risorse potenziali, economiche ed umane che i calabresi praticano a se
stessi è quella che si materializza sia nella totale assenza di clementine, in questo periodo di
grande raccolta e svendita, non tanto o non soltanto nei menù ma anche soltanto liberamente
esposte e proposte in tutta la rete commerciale regionale; sia quando alla richiesta di una
spremuta naturale di questo frutto abbondante, nutriente e prezioso che dovrebbe essere tra le
icone distintive di questa terra, nei bar si risponde e presenta serenamente una bibita gasata in
lattina, senza frutto, senza succo, piena di conservanti e buona solo per le multinazionali del cibo
spazzatura e del Nutriscore europeo.
Il vero danno culturale ed economico che questa regione e anzi tutto la sua rete di impresa
agricola, commerciale e distributiva continua a fare a se stessa, più di ogni eventuale disattenzione
dei governi nazionale ed europeo, è quello di non trasformare vigneti e uliveti in sicuri attrattori
turistici e ricettivi eco-sostenibili (così come accade altrove, anche ai nostri confini) e nel non
spiegare alle proprie figlie ed ai propri figli come, che significa e quanto vale avere ancora terra
fertile per vinificare, molire e spremere.

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