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sabato, Aprile 20, 2024
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La Direzione Investigativa Antimafia ha eseguito un provvedimento di confisca di beni, per valore di circa due milioni di euro

Il patrimonio sottoposto a confisca consiste in due società che operano nel settore delle costruzioni di edifici e dello smaltimento rifiuti solidi non pericolosi, otto immobili, tra cui un capannone di rilevanti dimensioni con uffici aziendali. Inoltre, diversi terreni agricoli, dieci beni mobili registrati e di cospicuo valore aziendale, tra cui diverse macchine operatrici semoventi, un rimorchio, un semirimorchio, diversi autocarri, una autovettura; infine, rapporti finanziari aziendali. Con lo stesso provvedimento la Sezione Misure Prevenzione del Tribunale ha disposto anche che il soggetto venga sottoposto per 5 anni alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno.

L’uomo, attualmente detenuto avendo riportato due condanne emesse dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, passate in giudicato nel 1994, quando gli venne contestata l’associazione a delinquere semplice, e nel 1996 per l’accusa di associazione mafiosa. L’uomo, inoltre, è stato già sottoposto a sorveglianza speciale per tre anni, con decreto della stessa Corte, diventato definitivo nel 1993.

Nel 2014 è stato coinvolto in una indagine, condotta dalla Dia e dai Carabinieri del Ros di Reggio Calabria, e coordinata dalla Dda reggina, che aveva portato a scoprire un “sistema creditizio parallelo”, attraverso il quale le cosche calabresi erogavano prestiti a tassi usurari a imprenditori in difficoltà non solo della nostra regione ma anche lombardi. Per queste vicende, una sentenza del febbraio 2018, emessa dalla Corte d’Appello e passata in giudicato nell’aprile 2019, l’uomo era stato condannato a 4 anni di reclusione per trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante di aver agevolato la ‘Ndrangheta.

Per la formalizzazione del provvedimento odierno, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha tenuto conto della pericolosità sociale “qualificata” del soggetto, definito “partecipe alle cosche di ‘ndrangheta operanti del mandamento tirrenico reggino nonché consapevole di agevolarle”. Per gli inquirenti, poi, l’uomo avrebbe nella sua disponibilità due aziende intestate però a presunti prestanome e sussisterebbe “una evidente sproporzione” tra i redditi dichiarati dallo stesso e dal suo nucleo familiare, rispetto agli investimenti effettuati nel tempo.

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