27 GEN, REGGIO CALABRIA – La storia cittadina ha annotato che a pochi anni dalla consegna dei lavori, avvenuta per fasi nel corso dell’anno 2005, il Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, prima dello scioglimento del Comune e del successivo avvento del flagello reggino Falcomatà, era stato realizzato all’80%.
La stagione amministrativa del sindaco sospeso ha solo portato supponente arroganza e litigiosità nei rapporti con la ditta incaricata di eseguire i lavori.
Infatti – è quanto dichiara il consigliere comunale di Reggio Calabria Massimo Ripepi – dopo avere richiesto il 7 marzo 2019 la risoluzione in danno dell’appalto di completamento dei lavori, il Comune, a distanza di una settimana, è stato citato in giudizio dall’impresa davanti al Tribunale per le Imprese di Catanzaro per ottenere il risarcimento di un danno quantificato in circa € 7 mln.
In questo contesto, – prosegue Ripepi – Falcomatà ha creduto bene di alleggerirsi del pesantissimo fardello accumulato, avvalendosi dal volenteroso consigliere delegato Romeo, a cui va oggi riconosciuto il grandissimo merito di avere issato la bandiera bianca davanti alla conclamata incapacità gestionale del Comune mista a supponente arroganza, quale base idonea ad invocare ed attendere l’intervento della Misericordia, puntualmente manifestatasi a Reggio Calabria attraverso la nobile figura di Marta Cartabia.
E, dunque, sarà il Ministero della Giustizia a provvedere alla ultimazione dei lavori, tant’è che il Comune costituirà in suo favore un diritto di superficie di 99 anni, presupposto necessario perché il dicastero della Giustizia possa sostenere spese in conto capitale.
Il Comune, poi, si è pure obbligato a versare a Via Arenula le somme eventualmente disponibili a seguito del passaggio in giudicato del contenzioso con il precedente appaltatore, fermo restando che il Guardasigilli assicurerà i fondi necessari anche nel caso di debacle giudiziaria di Palazzo San Giorgio davanti al Tribunale per le Imprese di Catanzaro.
A Caval Donato non si guarda in bocca, ma è doveroso evidenziare che la vicenda del Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria conferma che la superbia va a cavallo, ma a casa ritorna sempre a piedi.
Poco importa che il consigliere Romeo abbia certificato su livello nazionale l’auto-commissariamento del comune di Reggio Calabria, anzi il metodo di realpolitik va mutuato con specifico riferimento alle grandi opere sulle quali è impressa la griffe di incompiutezza “Falcomatà”.
Senza dimenticarsi – conclude Ripepi – della dignitosa modestia del ponticello di collegamento tra il Parco Lineare Sud e la Via Marina.