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venerdì, Maggio 17, 2024
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‘Locale di Anzio e Nettuno’. I tentacoli della ‘Ndrangheta sul litorale laziale

Nelle due città a sud di Roma insisteva una cosiddetta “locale”. In pratica un “distaccamento” del locale di Santa Cristina d’Aspromonte, nel reggino, ma composto in gran parte anche da soggetti appartenenti a famiglie mafiose di originarie di Guardavalle, nel catanzarese.

Questo quanto scoperto nell’ambito delle indagini che stamani hanno portato 65 ordinanze di custodia cautelare. L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma è stata eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale capitolino con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Reggio Calabria, Latina, Rieti, Viterbo e dello Squadrone “Cacciatori Calabria”.

Un gruppo, quello sgominato, che, da quanto si è appreso dagli investigatori, anche sul litorale a sud di Roma, facendo leva sulla propria forza di intimidazione dovuta al fatto di appartenere alla potente criminalità calabrese, grazie all’ assoggettamento e all’omertà che la circonda, sarebbe riuscita ad infiltrarsi nell’economia locale ma anche nella pubblica amministrazione. Le mani della locale si sarebbero imposte sul territorio, gestendo o controllando attività nei più svariati settori, da quello ittico a quello della panificazione, dalle gestione e lo smaltimento rifiuti, fino al movimento terra.

Un’egemonia a cui oggi, dopo quasi quattro anni di indagini, si ritiene di aver messo fine quando su ordine della Dda di Roma i carabinieri hanno fatto scattare la retata non solo ad Anzio e Nettuno ma anche a Latina, Rieti, Viterbo e Reggio Calabria. Le manette sono scattate ai polsi di 65 persone: 39 quelle finite in carcere e 26 ai domiciliari, a cui si contestano a vario titolo l’associazione mafiosa, l’associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso, la cessione e detenzione di droga ai fini di spaccio, l’estorsione aggravata e la detenzione illegale di arma da fuoco, l’intestazione fittizia di beni e le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, aggravato dal metodo mafioso.

L’ipotesi degli inquirenti è che a capo della “struttura” vi sia Giacomo Madaffari e che ne farebbero parte, inoltre, diversi soggetti appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle: i Gallace, Perronace e Tedesco. Le indagini, farebbero emergere l’esistenza di due associazioni che si occupavano del narcotraffico, una capeggiata da Giacomo Madaffari e l’altra da Bruno Gallace, dotate entrambe di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, e capaci di fa arrivare dal Sud America importanti quantitativi di cocaina.

Gli inquirenti, hanno ricostruito l’importazione dalla Colombia e l’immissione sul mercato italiano di “258 kg di polvere bianca, avvenuta nella primavera del 2018, tramite un narcotrafficante colombiano. La droga fu disciolta nel carbone e poi estratta all’interno di un laboratorio, allestito a sud di Roma. Una parte, circa 15 kg, fu ritrovata durante una perquisizione domiciliare dentro una valigia nascosta a casa della sorella di uno dei presunti appartenenti al gruppo”.

Le indagini, poi, hanno fatto luce sul progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina trasportata su un veliero. Gli investigatori spiegano che a questo scopo furono avviati dei “lavori di ristrutturazione all’estero del natante che, in origine, era utilizzato per delle regate transoceaniche, e vennero concordate le operazioni di carico portuale in acque sudamericane, pianificando anche le attività di scarico e custodia in Italia dello stesso stupefacente. Tuttavia, l’operazione non andò in porto dato che gli organizzatori vennero a sapere che erano in corso delle investigazioni sugli stessi appartenenti al sodalizio”.

Tra le ipotesi di reato anche quella di traffico organizzato di rifiuti. Il riferimento è ad una presunta gestione abusiva di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc nella sede di Anzio delle attività imprenditoriali, facenti capo agli indagati. Le quote, l’intero patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali sono state sottoposte a sequestro preventivo.

Dalle attività sono, poi, emersi elementi sul reperimento di informazioni riservate da parte di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine. I Carabinieri hanno infatti indagato su due militari, appartenenti ad una delle caserme del litorale. Credono si siano resi “responsabili delle rivelazione delle informazioni riservate a favore del gruppo mafioso”. Uno dei due è finito in carcere e l’altro ai domiciliari con l’accusa, per entrambi, di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio e per uno solo di loro di concorso esterno in associazione mafiosa. Sono attualmente in corso delle perquisizione negli uffici comunali di Anzio e Nettuno per ricercare documentazione utile alle indagini.

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